Hai presente quando tua nonna diceva “non si butta via niente”? Ecco, togli il grembiule, aggiungi un pizzico di innovazione e ottieni l’economia circolare. Ma davvero… chi la applica oggi? È solo roba da ambientalisti convinti, o riguarda anche settori che non ti aspetteresti nemmeno?
Facciamo chiarezza — con parole semplici e qualche esempio concreto — su dove (e come) si sta facendo sul serio con la circolarità.

Partiamo dalle basi: cos’è questa “economia circolare”?
Niente frasi accademiche, promesso. L’economia circolare è un sistema che cerca di tenere in vita i materiali il più a lungo possibile. Immagina un cerchio continuo: produciamo, usiamo, recuperiamo, riusiamo. E di nuovo.
Il contrario? Il modello lineare: prendi – produci – usa – getta. Un meccanismo che, diciamolo, fa acqua da tutte le parti. Oggi il nostro Pianeta non regge più il ritmo. E qui entra in gioco il “circolare”.
Ma quindi… chi la fa davvero?
Sorpresa: più settori di quanti pensi. Non si tratta solo di separare la plastica o scegliere la borraccia in alluminio. Dietro l’economia circolare ci sono aziende, architetti, ingegneri, agricoltori, designer, tecnologi. Gente con le mani in pasta — e a volte anche nei rifiuti.
Vediamoli da vicino.
Moda: lo stile che non inquina (troppo)
La moda è una delle industrie più inquinanti al mondo. Lo sapevi? Eppure sta virando verso pratiche più pulite.
- Alcuni brand recuperano vecchi tessuti, li rigenerano e creano nuovi capi.
- Altri noleggiano abiti da cerimonia o incentivano la riparazione (sì, come faceva tua zia con la Singer).
- Patagonia, Levi’s, ma anche marchi italiani come Rifò o Wrad fanno sul serio.
Il messaggio? Essere sostenibili può anche essere figo.
Edilizia: quando anche un mattone ha una seconda vita
Un settore tosto, certo. Ma in trasformazione.
- Si parla di “edilizia reversibile”: edifici pensati per essere smontati, non demoliti.
- I materiali di scarto? Riconvertiti in nuovi pannelli, pavimenti o addirittura mobili.
- Alcuni cantieri applicano già il “cradle to cradle”: progettare pensando già a come recuperare ogni elemento.
E qui una digressione è d’obbligo: se pensi che queste cose siano futuristiche, guarda i progetti in Olanda o Danimarca. Altro che rendering.
Agroalimentare: ogni buccia conta
Lì fuori si butta via quasi il 30% del cibo prodotto. Ma anche questo sta cambiando.
- Alcune aziende trasformano gli scarti in fertilizzanti o biomassa.
- Packaging biodegradabili, capsule compostabili, filiere agricole a km zero.
- Progetti come Too Good To Go (app per cibo invenduto) o Recup (recupero nei mercati) sono segnali forti.
Mangiare bene, senza sprecare — pare banale, ma è una rivoluzione silenziosa.
Elettronica e IT: qui il riciclo è un campo minato
Smartphone, tablet, laptop… li cambiamo più spesso delle calze. E ogni volta lasciamo dietro un cimitero di materiali preziosi.
Ma anche qui si muove qualcosa:
- Riciclo dei metalli rari (litio, cobalto, ecc.) e rigenerazione dei dispositivi.
- Progetti open-source per allungare la vita dei software.
- Startup che ritirano vecchi device, li riparano e li rivendono a prezzi abbordabili.
Occhio però: il greenwashing è dietro l’angolo. Dire “sono sostenibile” non basta. Servono fatti, tracciabilità, trasparenza.
Energia: non solo rinnovabile, ma rigenerativa
Non è solo questione di produrre energia pulita, ma di non sprecarla.
- Bioenergie da scarti agricoli.
- Sistemi per recuperare calore industriale.
- Comunità energetiche dove i cittadini condividono pannelli solari e accumuli.
Esempi? La cooperativa ènostra, le smart grid in Emilia-Romagna, il recupero termico nei forni industriali del Nord.
Energia che torna nel sistema. Letteralmente.
E poi ci sono gli outsider…
Alcuni settori non se li fila nessuno, ma sono sorprendentemente attivi:
- Turismo circolare: strutture che usano materiali recuperati, riducono rifiuti e coinvolgono le comunità locali.
- Cosmesi: packaging refill, ingredienti “salvati” da scarti alimentari.
- Arredamento: pezzi unici fatti con legno rigenerato o plastica riciclata.
- Logistica: pallet riutilizzabili, imballaggi modulari, trasporti condivisi.
La circolarità si infiltra ovunque, come l’umidità a novembre, ma stavolta fa bene.
Non è moda. È direzione obbligata.
Chi applica l’economia circolare non lo fa per fare “bella figura” — o almeno, non solo. È un cambio di paradigma. Più profondo di quanto sembri.
E sai cosa? Non serve essere una multinazionale per contribuire. Anche una falegnameria di quartiere o un bar con il caffè in vetro riutilizzabile sta facendo la sua parte.
Non tutti i settori sono allo stesso punto. Ma nessuno è escluso. È una corsa a ostacoli, certo. Ma con un traguardo che, se ignorato, ci cade addosso.

Giornalista e analista, scrive di economia italiana, innovazione e imprese. Appassionato di tecnologia e finanza, racconta il presente e il futuro delle aziende che fanno muovere il Paese.