Quali settori applicano l’economia circolare?

Illustrazione di cinque settori

Hai presente quando tua nonna diceva “non si butta via niente”? Ecco, togli il grembiule, aggiungi un pizzico di innovazione e ottieni l’economia circolare. Ma davvero… chi la applica oggi? È solo roba da ambientalisti convinti, o riguarda anche settori che non ti aspetteresti nemmeno?

Facciamo chiarezza — con parole semplici e qualche esempio concreto — su dove (e come) si sta facendo sul serio con la circolarità.

Illustrazione di cinque settori

Partiamo dalle basi: cos’è questa “economia circolare”?

Niente frasi accademiche, promesso. L’economia circolare è un sistema che cerca di tenere in vita i materiali il più a lungo possibile. Immagina un cerchio continuo: produciamo, usiamo, recuperiamo, riusiamo. E di nuovo.

Il contrario? Il modello lineare: prendi – produci – usa – getta. Un meccanismo che, diciamolo, fa acqua da tutte le parti. Oggi il nostro Pianeta non regge più il ritmo. E qui entra in gioco il “circolare”.

Ma quindi… chi la fa davvero?

Sorpresa: più settori di quanti pensi. Non si tratta solo di separare la plastica o scegliere la borraccia in alluminio. Dietro l’economia circolare ci sono aziende, architetti, ingegneri, agricoltori, designer, tecnologi. Gente con le mani in pasta — e a volte anche nei rifiuti.

Vediamoli da vicino.


Moda: lo stile che non inquina (troppo)

La moda è una delle industrie più inquinanti al mondo. Lo sapevi? Eppure sta virando verso pratiche più pulite.

  • Alcuni brand recuperano vecchi tessuti, li rigenerano e creano nuovi capi.
  • Altri noleggiano abiti da cerimonia o incentivano la riparazione (sì, come faceva tua zia con la Singer).
  • Patagonia, Levi’s, ma anche marchi italiani come Rifò o Wrad fanno sul serio.

Il messaggio? Essere sostenibili può anche essere figo.


Edilizia: quando anche un mattone ha una seconda vita

Un settore tosto, certo. Ma in trasformazione.

  • Si parla di “edilizia reversibile”: edifici pensati per essere smontati, non demoliti.
  • I materiali di scarto? Riconvertiti in nuovi pannelli, pavimenti o addirittura mobili.
  • Alcuni cantieri applicano già il “cradle to cradle”: progettare pensando già a come recuperare ogni elemento.

E qui una digressione è d’obbligo: se pensi che queste cose siano futuristiche, guarda i progetti in Olanda o Danimarca. Altro che rendering.


Agroalimentare: ogni buccia conta

Lì fuori si butta via quasi il 30% del cibo prodotto. Ma anche questo sta cambiando.

  • Alcune aziende trasformano gli scarti in fertilizzanti o biomassa.
  • Packaging biodegradabili, capsule compostabili, filiere agricole a km zero.
  • Progetti come Too Good To Go (app per cibo invenduto) o Recup (recupero nei mercati) sono segnali forti.

Mangiare bene, senza sprecare — pare banale, ma è una rivoluzione silenziosa.


Elettronica e IT: qui il riciclo è un campo minato

Smartphone, tablet, laptop… li cambiamo più spesso delle calze. E ogni volta lasciamo dietro un cimitero di materiali preziosi.

Ma anche qui si muove qualcosa:

  • Riciclo dei metalli rari (litio, cobalto, ecc.) e rigenerazione dei dispositivi.
  • Progetti open-source per allungare la vita dei software.
  • Startup che ritirano vecchi device, li riparano e li rivendono a prezzi abbordabili.

Occhio però: il greenwashing è dietro l’angolo. Dire “sono sostenibile” non basta. Servono fatti, tracciabilità, trasparenza.


Energia: non solo rinnovabile, ma rigenerativa

Non è solo questione di produrre energia pulita, ma di non sprecarla.

  • Bioenergie da scarti agricoli.
  • Sistemi per recuperare calore industriale.
  • Comunità energetiche dove i cittadini condividono pannelli solari e accumuli.

Esempi? La cooperativa ènostra, le smart grid in Emilia-Romagna, il recupero termico nei forni industriali del Nord.

Energia che torna nel sistema. Letteralmente.


E poi ci sono gli outsider…

Alcuni settori non se li fila nessuno, ma sono sorprendentemente attivi:

  • Turismo circolare: strutture che usano materiali recuperati, riducono rifiuti e coinvolgono le comunità locali.
  • Cosmesi: packaging refill, ingredienti “salvati” da scarti alimentari.
  • Arredamento: pezzi unici fatti con legno rigenerato o plastica riciclata.
  • Logistica: pallet riutilizzabili, imballaggi modulari, trasporti condivisi.

La circolarità si infiltra ovunque, come l’umidità a novembre, ma stavolta fa bene.


Non è moda. È direzione obbligata.

Chi applica l’economia circolare non lo fa per fare “bella figura” — o almeno, non solo. È un cambio di paradigma. Più profondo di quanto sembri.

E sai cosa? Non serve essere una multinazionale per contribuire. Anche una falegnameria di quartiere o un bar con il caffè in vetro riutilizzabile sta facendo la sua parte.

Non tutti i settori sono allo stesso punto. Ma nessuno è escluso. È una corsa a ostacoli, certo. Ma con un traguardo che, se ignorato, ci cade addosso.