In breve
- l’Italia fatica a crescere per problemi strutturali che si trascinano da decenni;
- il debito pubblico elevato e la burocrazia soffocante rallentano investimenti e innovazione;
- le PMI e le partite IVA sono spesso lasciate sole di fronte a un sistema fiscale e normativo complesso.
Le fondamenta fragili della crescita economica italiana
L’economia italiana mostra da anni una crescita debole e discontinua, frenata da fattori che vanno ben oltre la semplice congiuntura internazionale. Secondo un’analisi della Banca d’Italia, la produttività del lavoro in Italia è cresciuta solo dello 0,4% l’anno tra il 1995 e il 2022, uno dei tassi più bassi tra le economie avanzate.

Uno dei principali ostacoli strutturali è il peso del debito pubblico, che ha superato il 137% del PIL nel 2024 (fonte: Eurostat). Questo vincolo riduce i margini per politiche espansive e costringe lo Stato a mantenere una pressione fiscale elevata. Il risultato è un sistema che soffoca gli investimenti pubblici e privati, danneggiando soprattutto le piccole imprese e i lavoratori autonomi, motore reale del tessuto produttivo italiano.
A complicare ulteriormente la situazione c’è una burocrazia farraginosa, che secondo il rapporto Doing Business della Banca Mondiale colloca l’Italia al 58° posto per facilità di fare impresa. I tempi per ottenere autorizzazioni, aprire un’attività o accedere a fondi sono spesso incompatibili con la velocità richiesta dal mercato globale.
In questo contesto, le partite IVA sono costrette a muoversi tra norme confuse, scarsa digitalizzazione e un carico fiscale tra i più alti d’Europa. Senza riforme serie, strutturali e durature, l’Italia rischia di restare intrappolata in una crescita lenta e vulnerabile agli shock esterni.
Fisco e partite IVA: un sistema poco incentivante
In Italia, il sistema fiscale è spesso percepito come penalizzante da chi decide di mettersi in proprio o avviare un’attività. Secondo l’OCSE, il cuneo fiscale per un lavoratore autonomo può superare il 45%, uno dei più alti tra i Paesi membri. Questo significa che quasi metà del reddito prodotto viene assorbita da imposte dirette, contributi previdenziali e tasse locali.
Per le partite IVA, questo scenario si traduce in scarsa sostenibilità economica, soprattutto nei primi anni di attività. Il regime forfettario, pur offrendo qualche vantaggio in termini di semplificazione contabile e tassazione ridotta, non è sempre sufficiente a garantire un equilibrio tra costi e ricavi. Inoltre, le soglie e i requisiti per accedere o restare in questo regime possono risultare limitanti per chi vuole crescere.
Un altro problema è rappresentato dalla mancanza di stabilità normativa: frequenti modifiche alle aliquote, ai requisiti e alle scadenze creano incertezza e impediscono una pianificazione a lungo termine. La conseguenza è una diffusa sfiducia nel sistema, che frena l’iniziativa individuale e alimenta il sommerso.
A fronte di queste criticità, diversi studi — tra cui quello del Centro Studi Confindustria — suggeriscono la necessità di una riforma fiscale strutturale che alleggerisca il carico su PMI e autonomi e semplifichi gli adempimenti, favorendo la crescita e l’emersione dell’economia sommersa.
Formazione e lavoro: un disallineamento che pesa sulla crescita
Uno dei principali limiti strutturali dell’economia italiana è il forte mismatch tra offerta formativa e domanda del mercato del lavoro. Secondo il rapporto 2024 di Unioncamere–Anpal, oltre il 45% delle imprese italiane fatica a trovare profili professionali adeguati, nonostante l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, che resta sopra il 20%.
Questo fenomeno è dovuto a diversi fattori. Da un lato, il sistema scolastico e universitario non sempre prepara in modo efficace alle competenze richieste dalle imprese, soprattutto in ambito tecnico e digitale. Dall’altro, mancano percorsi di formazione continua e orientamento professionale efficaci, in grado di accompagnare i lavoratori lungo tutto il ciclo della vita lavorativa.
Le conseguenze sono evidenti: bassa produttività, occupazione precaria e difficoltà a innovare per molte aziende, soprattutto le PMI. Inoltre, le nuove generazioni si trovano spesso costrette a scegliere tra lavori sottopagati e fuga all’estero, contribuendo al fenomeno del brain drain.
Investire nella formazione tecnica, nei percorsi ITS (Istituti Tecnici Superiori) e nella sinergia tra scuola e impresa rappresenta una delle leve più potenti per sbloccare il potenziale economico del Paese. Un cambiamento che richiede però visione, risorse e soprattutto stabilità nelle politiche educative.
Innovazione e investimenti: il motore che manca
Per un’economia avanzata, innovazione e investimenti sono leve fondamentali per stimolare la crescita. Tuttavia, in Italia il quadro è poco incoraggiante. Secondo i dati dell’Istat, la spesa in Ricerca e Sviluppo nel 2023 si è attestata all’1,5% del PIL, ben al di sotto della media UE (2,2%) e lontana dai Paesi leader come Germania e Svezia.
Il problema non riguarda solo i fondi pubblici, spesso frammentati e poco strategici, ma anche la scarsa propensione all’innovazione da parte delle PMI, che costituiscono il 92% del tessuto imprenditoriale italiano. Molte di queste imprese non hanno né le risorse né le competenze per adottare nuove tecnologie, digitalizzare i processi o investire in prodotti ad alto valore aggiunto.
Inoltre, il sistema del credito rimane conservativo: ottenere finanziamenti per progetti innovativi è difficile, soprattutto per chi opera in settori non tradizionali o ad alta volatilità. La mancanza di una cultura del rischio, insieme a una regolamentazione rigida, scoraggia le startup e limita l’ingresso di nuovi attori dinamici nel mercato.
Senza una strategia nazionale coordinata e a lungo termine che favorisca investimenti produttivi, l’Italia rischia di restare indietro in una economia globale sempre più guidata dalla tecnologia e dalla conoscenza.
Crescita economica: le leve per sbloccare il potenziale italiano
L’Italia ha tutte le potenzialità per crescere in modo sostenibile e inclusivo, ma servono interventi strutturali e un cambio di visione politica. Le riforme devono affrontare con decisione i principali freni economici: burocrazia, fisco, formazione, innovazione e credito.
Uno dei primi passi dovrebbe essere un’azione decisa sul fronte fiscale: semplificare gli adempimenti, ridurre il carico sulle partite IVA e incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Anche la digitalizzazione della pubblica amministrazione può contribuire a migliorare l’efficienza e ridurre i costi per le imprese.
A questo si deve affiancare un grande piano di investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, che favorisca la mobilità, la connettività e l’integrazione tra territori. Le zone interne e meridionali, spesso escluse dai grandi flussi economici, devono diventare parte attiva della crescita nazionale.
Infine, è cruciale promuovere una cultura imprenditoriale moderna, fondata su formazione continua, collaborazione tra pubblico e privato e accesso agevolato al credito per chi innova. Solo così l’Italia potrà superare decenni di stagnazione e tornare a occupare un ruolo da protagonista nello scenario europeo.
Economia italiana – Domande frequenti
Quali sono i principali ostacoli alla crescita economica italiana?
I principali ostacoli sono il debito pubblico elevato, la burocrazia inefficiente, un sistema fiscale pesante per PMI e partite IVA, la scarsa propensione all’innovazione e il disallineamento tra scuola e mercato del lavoro.
Perché le partite IVA fanno fatica a crescere in Italia?
Le partite IVA soffrono a causa di un fisco complesso, costi elevati e frequenti cambi normativi. Anche l’accesso al credito e alla formazione è limitato, rendendo difficile la crescita e la sostenibilità nel lungo periodo.
L’Italia investe abbastanza in innovazione?
No. La spesa in Ricerca e Sviluppo è al di sotto della media UE e molte PMI non hanno risorse o competenze per innovare. Manca una strategia nazionale solida che stimoli investimenti e competitività.
Come può l’Italia rilanciare la propria economia?
Attraverso riforme strutturali: semplificazione fiscale, incentivi per innovazione, investimenti in infrastrutture e formazione continua. È necessario anche favorire l’inclusione delle zone meno sviluppate nel circuito produttivo.

Giornalista e analista, scrive di economia italiana, innovazione e imprese. Appassionato di tecnologia e finanza, racconta il presente e il futuro delle aziende che fanno muovere il Paese.