Sempre più persone si rivolgono all’intelligenza artificiale per gestire stress e ansia, cercando un confidente virtuale disponibile 24/7. Secondo il Barometro Digitale di marzo 2025, già nel 2024 il 26% dei francesi utilizzava l’AI nella vita privata. Ma un chatbot può davvero prendere il posto di un terapeuta in carne e ossa? Analizziamo i pro e i contro con l’aiuto di una professionista.

Perché l’AI affascina come confidente virtuale
Il successo di strumenti come ChatGPT in ambito psicologico poggia su vantaggi innegabili. La sua più grande forza è l’accessibilità: è immediato, non richiede appuntamenti e, soprattutto, opera in un ambiente di totale anonimato e assenza di giudizio. Molti trovano più semplice aprirsi con una macchina, senza la paura dello sguardo o della vergogna che a volte può emergere in una relazione umana.
Lo stesso ChatGPT ammette di essere usato come “sollievo temporaneo” per “sfogarsi, chiarire un sentimento o sentirsi un po’ meno soli”. Anche la psicologa Isabelle Brunel concorda su questo punto: “Penso che possa essere molto utile, soprattutto all’inizio, quando una persona ha un attacco d’ansia, ad esempio, e non ha un interlocutore immediato”. In questi casi, l’AI può fornire delle chiavi per calmarsi, agendo come un’efficace “illusione di una persona”.
Il limite insuperabile: l’assenza del fattore umano
Nonostante la sua apparente efficacia, l’intelligenza artificiale ha dei limiti strutturali che le impediscono di sostituire un percorso terapeutico. Il primo e più importante è la totale mancanza di vera empatia. Un’AI non “sente”, ma elabora dati. Non può cogliere quei segnali non verbali, quelle sfumature emotive o quei traumi nascosti che un professionista esperto è addestrato a riconoscere.
ChatGPT stesso lo riconosce: “Le mie risposte si basano su modelli statistici, non sulla supervisione clinica o sull’esperienza umana”. Questo può creare un falso senso di sicurezza, portando l’utente a pensare che un problema sia risolto, quando in realtà la radice è ancora presente. Inoltre, viene a mancare tutta la dimensione del “lavoro su di sé”, che implica un impegno concreto. Come sottolinea la dottoressa Brunel, l’atto di recarsi nello studio, il pagamento (anche simbolico) della seduta e la relazione di “transfert” che si crea con il terapeuta sono parti integranti e fondamentali del processo di guarigione. È in quella connessione che “trovi qualcuno che ascolta ciò che nessun altro ha mai ascoltato”.
Conclusione
In definitiva, ChatGPT non può sostituire uno psicologo. Può essere un valido strumento di supporto momentaneo, un “oggetto transizionale” — come la coperta per un bambino — che offre conforto immediato, o persino un primo passo per chi ha paura di chiedere aiuto. Tuttavia, la profondità, la comprensione e la capacità trasformativa di una relazione terapeutica umana restano, al momento, insostituibili.

Giornalista e analista, scrive di economia italiana, innovazione e imprese. Appassionato di tecnologia e finanza, racconta il presente e il futuro delle aziende che fanno muovere il Paese.